Siamo antifascisti e antirazzisti. Ed è esattamente per questo che siamo antisionisti. (Rete Italiana ISM)


lunedì 15 dicembre 2014

Quello che ho capito



Appena arrivata in Rojava ho avuto un incontro con la co-presidente, che mi spiegava che qui il popolo sta cercando di costruire democrazia. Alla parola democrazia un po' mi sono preoccupata. Le ho detto che anche nei ostri paesi chiamano il sistema politico democrazia, e significa che chi ha i soldi o la possibilità si fa un sacco di pubblicità o propaganda, così la gente lo vota, e chi riceve più voti ha il potere. Lei mi ha risposto che quella dei nostri Paesi non è un sistema democratico, bensì un sistema capitalistico; e le due cose non sono compatibili. Cominciavo a capire di non aver capito il significato delle parole che usavano qui. Non era un problema di traduzione, ma più profondo. Ho cominciato a capire qualche cosa di più quando, una settimana dopo, in viaggio verso il campo Newroz, mi sono fermata a dormire in uno studentato: si chiama “Academia”, ed è il luogo dove, in gruppi di 20-30 ragazze e donne, le donne ricevono un'istruzione intensiva di 15 giorni riguardo la storia del Kurdistan e la storia delle donne, è una specie di studentato. Bene, la mattina, quando mi sono svegliata, c'era la presidente che preparava la colazione, prima di andare in ufficio. Cioè, la presidente dormiva nello studentato (perché era vicino al suo ufficio) e preparava la colazione per se, per me e per un'altra ragazza. E questo era assolutamente normale.

Serecania, ad esempio, è stata liberata dalle forze Ypj e Ypg, ed ora necessita di essere ricostruita. Non solo ricostruita fisicamente, ma anche e soprattutto socialmente. Non sono solo i buchi nei muri che vanno riparati, ma c'è un intero tessuto sociale da ricostruire, e anche per questo fioriscono associazioni e gruppi attivi in diverso modo.
La fondazione delle donne libere sta cercando gli spazi per creare un consultorio per donne. Ci sono alcune case che erano in precedenza occupate da filo-isis, che sono scappati con lo stato islamico quando si è ritirato, e tra esse se ne cerca una da mettere a posto per il consultorio. Altri appartamenti piuttosto eleganti sono stati dati alle famiglie di rifugiati, o a chi ne aveva bisogno: erano gli appartamenti dei funzionari del governo siriano, “loro si costruivano sempre case molto belle” spiega un ragazzo del posto. Ora in queste case abitano rifugiati. “In questa città ci sono quartieri in cui vivono arabi, quartieri abitati da curdi, e quartieri misti. Ma la convivenza è pacifica, e insieme, ciascuno con la sua lingua e le sue tradizioni, cerchiamo di ricostruire questa città. Perché qui la gente ha voglia di andare avanti, di ricominciare, di vivere.”
A Sarecanya ci sono 4 ospedali, però, spiegano i medici presenti, a causa dell'assedio e della guerra, mancano di molte attrezzature: per esempio, si possono fare radiografie coni raggi X ma per CT ed RMI è necessario andare fino a Qamislo (e sono quasi due ore di viaggio in automobile); mancano anestetici, antibiotici, antistaminici, strumenti per le operazioni chirurgiche, e materiale da laboratorio “il vicino pspedale è stato saccheggiato dall'esercito libero siriano, hanno portato via tutto adesso è un edificio vuoto” racconta un medico. A Sarecanya ci sono stati 250 martiri, e un'associazione si preoccupa di assisterne le famiglie sia dal punto di vista psicologico che economico. Quando mi mostrano le foto, mi spiegano che molti di loro erano padri di famiglia, con due, tre, cinque, sette figli, e che quindi la società non può abbandonare le loro famiglie. All'associazione per la risoluzione dei conflitti familiari si può recare una donna con suo marito o con colui con cui ha problemi: la funzione è quella di parlare e risolvere i problemi senza dover ricorrere al giudice. Nella casa dove i combattenti delle YPG feriti c'è anche una donna “hanno ammazzato mio figlio al fronte. Ora tutti i combattenti sono figli miei” spiega. Ci sono pochi ragazzi in questa casa, dai 19 ai 22 anni, e raccontano di essere stati colpiti da proiettili o da autobombe, raccontano di aver visto morire i loro compagni. Domando della situazione al fronte, spiegano che si sta cercando di aprire questa strada verso Kobane, che ci sono 180 km di distanza e che per ora se ne sono liberati 40, ma è un lavoro lungo... “Ci sono alcune cose importanti, però, che voglio tu sappia” spiega Mohammed “qui, all'interno delle YPG, non facciamo differenze tra curdi, arabi, o persone di altre etnie: io sono ceceno per esempio, e combatto alla pari degli altri. Anche i nostri comandanti non sono diversi da noi, siamo tutti amici, non abbiamo trattamenti diversi per chi è responsabile di una milizia. Ora non è ancora completamente scuro, ma nel futuro questa terra sarà sicura e libera anche grazie al sacrificio delle YPG: e per questo, si sappia, abbiamo le porte aperte per tutti coloro che nel mondo vogliono combattere per l'umanità, se vogliono unirsi a noi.”

Taha, membro del parlamento, mi ha spiegato qualcosa su come vengono prese le decisioni qui, a livello di cantone. C'è un consiglio (mejlis), che al momento è formato da rappresentanti di tutti i gruppi etnici, maschi e femmine. Ciascun gruppo etnico si riunisce in piccoli comitati, che poi mandano un rappresentante in comitati più grossi, e via dicendo fino ad arrivare al consiglio. Il consiglio ha redatto la carta del Rojava, e il prossimo consiglio sarà scelto per elezioni. Ciascuna minoranza avrà una percentuale minima fissata all'interno del consiglio, almeno il 10% va a coloro che hanno ricavuto più voti all'interno del movimento degli arabi, il 10% per il movimento dei curdi, il 10% per il movimento dei siriaci (minoranze cristiane), il 20% per i movimenti dei giovani, il 30% per i movimenti delle donne, e in totale almeno il 40% per ciascun genere (femmine e maschi). La cosa importante è che con questo sistema nessun gruppo avrà mai la maggioranza: c'è solo un 20% disponibile per candidati “liberi”, non legati ad alcun movimento pre-esistente, il resto rappresenta e discute ciò che fa in parlamento con gruppi presenti nella società che gli sono affini. Quando viene fatta una proposta di legge, infatti, i membri della mejlis la ricevono in anticipo e la discutono con il proprio gruppo di appartenenza. Il consiglio ha un presidente ed una co-presidente, un uomo e una donna, eletti separatamente, dagli uomini e dalle donne: per esempio in questo momento l'uomo è di una fazione più conservatrice mentre la donna è una femminista convinta: all'inizio l'uomo -tra lo scherzo e il serio- diceva di avere dei problemi a lavorare con lei, ma dopo qualche mese si dice soddisfatto. I piccoli gruppi che stanno alla base, poi, propongono soggetti di discussione o proposte di leggi per il consiglio. Kamal spiega poi che all'interno del parlamento, composto da 101 persone, c'è un presidente e due co-presidenti, provenienti da diversi gruppi etnici, e tra i tre deve esserci almeno una donna, e 22 ministri, anch'essi di entrambi i generi e di tutte le etnie, mentre i portavoce sono due, ancora una volta un uomo e una donna.

Altre differenze importanti rispetto al nostro sistema si riscontrano poi nell'amministrare la giustizia. Il primo passo, quando ci sono delle controversie, è quello di ricorrere ai comitati per la riconciliazione, che cercano una soluzione che vada bene e soddisfi entrambe le parti. Se il comitato di riconciliazione non porta ad un accordo che soddisfi le parti, si ricorre al tribunale “ma cerchiamo di ricorrere il meno possibile al tribunale, perché esso sancisce una colpevolezza o meno, e sappiamo bene che nessuno è mai colpevole o innocente al 100%” spiega Lorin, avvocato generale al tribunale di Qamislo “Le leggi costringono la mente restringono la libertà degli esseri umani. Siamo tutte e tutti diversi, non si possono giudicare allo stesso modo due persone che hanno commesso lo stesso crimine: l'acqua che scorre nel fiume non è sempre la stessa! Per esempio, se un ragazzo senza genitori viene sorpreso a rubare, non ci si può vendicare su di lui mettendolo in carcere: gli si deve dare un'istruzione, inserirlo in un ambiente pulito e adatto a lui” Lorin poi spiega il funzionamento delle corti qui a Qamislo: “Le nostre leggi sono piuttosto vaghe, giudichiamo molto in base al buonsenso. Ci sono alcune linee invalicabili, per esempio per omicidi d'onore la pena minima è 10 anni, per il traffico di donne è 3 anni, e devono essere punite anche le violenze sessuali e i crimini di tradimento. Ogni caso è valutato da tre giudici, di cui almeno una deve essere una donna (fino a che non si trova anche la donna il processo non ha luogo): le persone che assumono questo ruolo devono essere accettate dalla società ed avere una buona reputazione nella loro comunità, devono essere approvate sia dal consiglio della loro municipalità che passare diversi test instaurati da enti indipendenti. Il nostro obiettivo è comunque quello di non avere tribunali, solo comitati di riconciliazione che possano mettere d'accordo le parti in causa soddisfacendo tutti. Per quanto riguarda gli avvocati, c'è certamente la possibilità di avere un avvocato, ma non li vediamo di buon occhio per due ragioni: pensiamo sia anti-etico difendere qualcuno che sappiamo essere colpevole, e soprattutto se ci affidiamo agli avvocati succede che chi ha più soldi può permettersi un buon avvocato e chi è povero non se lo può permettere, e questo crea differenze all'interno della società.” Lorin racconta anche delle difficoltà incontrate: “certo, è difficile per molti cambiare mentalità. Alcuni sono ancora abituati a vedere le leggi come qualche cosa di fissato, uguale per tutti indipendentemente dalle origini o dalla provenienza sociale. Però, una volta accettato il cambiamento, è difficile tornare indietro. Tieni conto anche che qui siamo comunque in una situazione di guerra, e non è facile instaurare un sistema rivoluzionario in un contesto del genere.”
Nelle prigioni, comunque, viene spiegato dal responsabile di una prigione di Qamislo, i detenuti hanno una televisione, la possibilità di leggere, tre pasti al giorno, possono telefonare da un telefono comune, hanno la possibilità di ricevere visite familiari una volta alla settimana, non esiste l'isolamento, e c'è la possibilità di praticare sport per un'ora al mattino ed una alla sera. “sono stato anche io in carcere, e sono passato attraverso l'isolamento. Non voglio ripetere queste torture verso qualcun altro” spiega. In effetti, entrando nella cella ho potuto vedere che è presente riscaldamento, televisione, e i detenuti confermano che non ci sono problemi a vedere le famiglie e quanto detto dal responsabile del carcere; nonostante questo si lamentavano della lunghezza dei processi, e del fatto che non fossero fissate le date delle udienze: è possibile a mio giudizio che questo sia dovuto alla difficoltà di trovare giudici, soprattutto donne.

Io continuo a non capire perché tutto questo venga chiamato democrazia... secondo il mio linguaggio, democrazia è quella dell'occidente che sgancia le bombe, è quella secondo cui il capo di uno Stato è anche l'uomo più ricco e che possiede più mezzi di comunicazione, democrazia è quella che caccia in mare i migranti perché non sono parte della maggioranza bianca, democrazia non è una pratica che porti gioia agli esseri umani, e continuo a domandare perché qui usino questa parola per descrivere una cosa completamente diversa. Secondo Rosa, una compagna trovata qui, siamo noi in occidente che abbiamo svuotato le parole di senso. Abbiamo instaurato un sistema capitalistico e lo abbiamo chiamato democrazia. Democrazia significa che il popolo ha il potere, e qui la rivoluzione del Rojava sta facendo tutto il possibile perché il popolo abbia il potere. Hanno scelto di chiamarla democrazia perché è una parola che significa che il popolo ha il potere. Sebbene sia stata svuotata di significato fin dal tempo dei greci (ad Atene era di fatto un'elite maschile che governava, e continuiamo a chiamare quella cosa “democrazia”) ora si tratta di ricostruirne il significato in maniera completa. Quello che vogliono qui è democrazia, nel senso che vogliono il potere del popolo, ma assolutamente non nel senso che vogliono il sistema capitalista (che da questo punto di vista non è compatibile con la democrazia).
Se io non capisco come usino certe parole qui, però, anche qui non capiscono perché in occidente usiamo quelle stesse parole. Roqan mi domanda perché i nostri paesi parlano di diritti umani e democrazia, e poi finanziano e creano cose come l'ISIS, che distrugge vite umane taglia le teste della gente e droga i suoi combattenti prima di mandarli ad uccidere.



p.s.: due cose: nonostante consideri il confederalismo democratico molto meglio delle nostre dmocrazie, personalmente, l'idea di esprimere con un voto la preferenza per qualcuno che comunque decide al posto mio ancora non mi esalta; perfortuna che la maggior parte dlele decisioni si cerca di prenderle a livello di quartiere con i vicini di casa. Eppoi, volevo consigliare un articolo che ho letto e che da una lettura politica molto più articolata che queste mie poche testimonianze e impressioni raccolte insieme: lo trovate qui: http://www.uikionlus.com/kurdistan-nellocchio-del-ciclone-2/
















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