Siamo antifascisti e antirazzisti. Ed è esattamente per questo che siamo antisionisti. (Rete Italiana ISM)


venerdì 6 dicembre 2013

Piove a Gaza


Piove. 
Qui piove poco, e quando piove è una festa. 
Quando piove, si dice, si lavano i peccati. 
Quando piove, si può seminare il grano, anche vicino al confine. Fino a 15 anni fa non occorreva aspettare che piovesse, perché era possibile irrigare. C'erano cisterne di acqua sopraelevate apposta. Adesso i sionisti hanno sparato anche a quelle, rendendole inservibili; e sono molto efficienti nel distruggere ogni possibile impianto di irrigazione. Così, per ora, si semina dopo la pioggia. 


Anche se le forze di occupazione israeliane sostengono di proibire l'accesso ai palestinesi solo a meno di 300 metri dal confine, i cecchini hanno colpito civili anche a distanze molto maggiori. Il risultato, per quanto riguarda il 2013 finora, sono 3 persone ammazzate e 33 ferite. 
L'11 gennaio le forze di occupazione uccidono Anwar Mohammed Olayan al-Mamlouk, di 19 anni, perché si trovava con un gruppo di persone vicino al confine protestando contro le restrizioni di movimento. 
Il 14 gennaio le forze di occupazione aprono il fuoco contro un gruppo di contadini nel nord della striscia di Gaza, che si trovava a 1200 metri dal confine. Viene ucciso Mustafa Abdul Hakim Mustafa Abu Jarad, di 10 anni. 
L'11 agosto 2013 viene ucciso Hussein Abdul Hadi al-Nouri, di 34 anni, mentre cercava di passare il confine per entrare nei territori occupati nel 48. Era disarmato. 


A Gaza piove. Piove, e quindi i contadini possono seminare il grano. Dico che possono seminare il grano perché nelle zone vicino al confine non si può seminare altro. Una volta c'erano alberi giganteschi, ora quei pochi che ci sono hanno al massimo 4-5 anni: vengono periodicamente spazzati via dai bulldozers israeliani. Inoltre, il grano ha bisogno di poco lavoro, non è necessario recarsi alla propria terra sotto il tiro dei cecchini israeliani troppo spesso. Quindi, nella zona vicino al confine, si coltiva grano. Col passare degli anni il terreno coltivato a grano rende sempre meno, ma non importa: è comunque la loro terra, e comunque gli abitanti vogliono continuare ad utilizzarla. 

In questa stagione della semina alcuni internazionali, dell'International Solidarity Movement ma non solo, accompagneranno i contadini nelle loro terre. Abbiamo scelto di non indossare sempre le giacchette gialle di riconoscimento, ma solo quando i contadini ce lo chiederanno, perché non vogliamo spingere gli aggressori sionisti a colpire i palestinesi al nostro posto. Si è deciso di scrivere ai nostri consolati informandoli della decisione. 


Di seguito uno scambio di e-mail tra me e il consolato italiano a Gerusalemme: 

Io: 
“Buonasera, 
mi chiamo Silvia Todeschini e mi trovo a Gaza. 
Scrivo per informarvi che nella prossima stagione della semina (che avrà inizio in pochi giorni) mi recherò con i contadini a coltivare anche zone vicine alla barriera di separazione tra la Striscia di Gaza e i territori occupati nel '48. 
È possibile che in alcune occasioni indossi la giacca gialla rifrangente di riconoscimento per gli internazionali, in altre non lo farò. 
Cordialmente, 
Silvia Todeschini” 

loro: 
“[...] Per quanto riguarda la Sua partecipazione alla stagione della semina Le ricordiamo che: 
* è assolutamente necessario, a protezione della Sua ed altrui incolumità, che Lei indossi il giubbotto di segnalazione; 
* è importante che Lei, ed eventuali altri Suoi accompagnatori, manteniate un atteggiamento improntato alla massima prudenza e cautela in ogni spostamento; 
* è necessario che Lei ci tenga costantemente aggiornati circa eventuali problemi. [...]” 

io: 
“[...] Resto ferma nella mia volontà di utilizzare solo talvolta il giubbotto di segnalazione, cosciente dei rischi, che sono comunque sempre minori dei rischi che i contadini qui corrono tutti i giorni. 
Se volete contribuire alla mia incolumità, potreste chiedere alle autorità israeliane di non aggredire o sparare a nessun contadino nella stagione della semina, perché potrei comunque essere tra loro, o una di loro. [...]”


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