Siamo antifascisti e antirazzisti. Ed è esattamente per questo che siamo antisionisti. (Rete Italiana ISM)


domenica 27 ottobre 2013

Attesa.

il primo dei diari sotto il nome "Sil".

“Potresti fare l'insegnante. Ti piace insegnare no?” “Certo che mi piace. Come mi piace fare il pane e scattare foto.” “E allora resta in Italia! Perché andare a Gaza? Perché trovare ancora sofferenza? Perché rischiare?”

Sto qui, in attesa. Stiamo qui, in attesa. “burocrazia” dicono.
Aspettando di poter passare il confine. Vorrei dire a chi pone la domanda sopra, che cerco di la da Rafah, non tanto la sofferenza o il rischio, quanto la forza. Per esempio la forza di Taragi: viveva vicino al confine, e rifiutava aiuto in denaro, chiedendo un'internazionale che vivesse con lei e le sue figlie, perché non ne poteva più degli spari la sera dal confine, e voleva che le sue bambine andassero a scuola senza dover avere paura dei cecchini. Se le chiedevi perché non se ne andava in un posto più tranquillo si arrabbiava, e diceva ad alta voce “adha hardy, yani!” “questa è la mia terra, affermo!”

Aspettiamo i documenti. Dicono ci vorrà una settimana, tre giorni fa dicevano che erano pronti, mannaggia a loro.
Vorrei incontrare di nuovo la determinazione di alcuni contadini vicino a Khan Younis ma anche altrove, che continuavano a coltivare la loro terra a poche centinaia di metri dal confine, sebbene i bolldozer sionisti avessero spianato ulivi aranci e mandorli, e sebbene sotto tiro dei cecchini non riuscissero a coltivare altro che grano. La stessa terra coltivata a grano per anni rende pochissimo, ma continuavano ad andarci, per affermare che è la loro terra.

Una settimana, in attesa di poter tornare.
Nel cuore e negli occhi ho il coraggio travolgente di quelle migliaia di giovani e meno giovani che il giorno della Nakba affermavano, urlavano, “voglio tornare a casa” recandosi al valico di Erez che divide Gaza dai territori occupati nel '48. Con il cecchino che li colpiva da davanti, l'arma automatica da sinistra, e il carro armato da destra. In tutto quel giorno ci sono stati 105 feriti ed un morto, ma, nonostante questo, a migliaia manifestavano ad Erez per il diritto al ritorno.

Aspettiamo, e vorremmo passare al più presto.
Anche perché il Cairo non è un bel posto in questo periodo. Ci sono i carri armati che bloccano l'accesso ad alcune zone, tra cui fino a ieri la centralissima piazza Tahrir, e c'è il coprifuoco notturno in tutto il Paese (qui inizia a mezzanotte, ma in altre zone inizia prima).

Aspettiamo un pezzo di carta per poter passare. “la carta è solo carta, la carta brucerà” ho sentito dire da delle belle persone tempo fa, riguardo i permessi di soggiorno in Italia per migranti “stranieri”1.
Un'amica di Gaza diceva “voi stranieri potete entrare e uscire dalla striscia, potete andare in Cisgiordania, a Nablus, Al-Khalil, Al-Quds. Noi che siamo palestinesi non possiamo vedere Gerusalemme!” Sono sicura, amica mia, che vedrai Gerusalemme un giorno. E ne sono sicura almeno per due ragioni. La prima è che se il tuo popolo ha avuto la forza di resistere per così tanti decenni, non riuscirà né la più becera propaganda né il quarto esercito più forte del mondo a cacciarvi dalla vostra terra. La seconda ragione è che se mi guardo attorno, e vedo quanti siamo, tutti assieme, collettivamente, e osservo che se riusciamo a collaborare, se lavoriamo nella consapevolezza di andare tutti nella stessa direzione anche se per strade diverse, allora possiamo solo vincere.

Stiamo ancora qui al Cairo, ad aspettare. Le notti scorse c'era la luna, era strana, verticale, come non si vede mai da dove vengo io. Questa notte non c'è nemmeno la luna. E aspettiamo.
I burocrati egiziani non sembrano avere voglia di farci passare a brevissimo.
Ma, nonostante questo, mi sembra quasi di non voler essere in altro luogo che qui. Perché so che, anche se fisicamente in questo istante siamo solo in due, qui non siamo soli. Perché so che se noi siamo qui ad aspettare di entrare a Gaza, è perché vi è stato qualcun altro prima e perché altri arriveranno a darci il cambio dopo. Se noi ancora attendiamo, qualcuno è già dentro. Ed è bello essere parte di un movimento molto più grande e importante del nostro essere fermi qui, di un movimento che comprende l'International Solidarity Movement ma che al tempo stesso va molto oltre, comprende tantissime variegate persone, altre campagne portate avanti. A farmi restare qui è la coscienza che tutto ciò fa parte della lotta di liberazione di un popolo che continua a resistere da più di 65 anni. È la consapevolezza che la lotta contro il sionismo è parte della lotta contro il sistema che lo necessita. Sapere di essere un puntolino minuscolo in tutto questo mi infonde fiducia, e capite bene che questo non è paradossale ma ovvio.
Perciò, nonostante coprifuoco e carri armati, nonostante siano state arrestate in Egitto persone che prima di noi hanno intrapreso questo viaggio, probabilmente non desidererei essere in alcun altro luogo se non qui - o già dentro Gaza, ovviamente ;) .

“si può morire da muti
tranquillamente seduti”

Sil


1Metto le virgolette perché “straniero” dipende dai punti di vista.








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